Il DNA perduto

La sconfitta di Napoli brucia ed lascia molti interrogativi.

Il DNA bianconero, lo stile Juve, la garra, l’aggressività e la voglia unite alla classe ed alle giocate dei suoi fuoriclasse, questo è da sempre il modo in cui siamo stati abituati a vedere la Juventus.

Ora cancelliamo dalle foto il bianconero delle maglie e mettiamoci l’azzurro del cielo sopra il Vesuvio, accostatiamo le qualità del DNA appena descritto et voilà … viene fuori il Napoli.

Questo è quello che probabilmente ha lasciato di più l’amaro in bocca ai tifosi juventini, vedere le proprie qualità, il proprio modo di essere e di vivere la partita “rubati” dal Napoli di Antoni Conte. Già proprio lui Antonio Conte che di DNA juventino addossa ne ha da vendere e da “insegnare” a quintali in giro per il mondo.

Lo ha fatto ovviamente prima a Torino, poi in Inghilterra e poi passando ai nemici prima nerazzurri e poi napoletani, continuando a castigare chi non ha voluto dargli retta “obbligandolo” ad alzare i tacchi e rifarsi una vita altrove. Mantenendo però sempre la sua base operativa a Torino e non è un caso.

Conte cresciuto alla scuola prima del Trap e poi di Marcello Lippi è l’essenza del DNA bianconero. Costruisce le squadre con un solo obiettivo, vincere e vincere ora non fra qualche anno programmando crescite che spesso si rivelano improbabili e difficilmente attuabili.

L’età media delle squadre in campo a Napoli parlava chiaro: gli azzurri “vecchi” marpioni scafati con una grinta ed una fame da servi della gleba del basso medioevo e dall’altra giovani di belle speranze, nobili e belli, che di battaglie vere ne hanno combattute pochissime e con il pancino discretamente pieno. E parliamo anche del loro condottiero. Thiago Motta da Psg.

Giocatore supponente al Genoa convinto di essere unto dal signore, che diventato tripletista nerazzurro si convince ancor di più di essere il predestinato, finito nella corte del Gran Vizir emigrato a Parigi a mietere messi di dollaroni, si è trovato davanti uno che con la grinta, l’applicazione maniacale di schemi e di modi di vivere votati solo al conseguimento della vittoria gli ha fatto vedere che per vincere da allenatore di pagnotte ne deve mangiare ancora molte e forse non riuscirà mai ad arrivare ad affiancarlo.

Per la Juve ammalata di pareggite che a volte sembra specchiarsi più che combattere il recupero del proprio DNA è fondamentale per poter pensare o sperare di portare a casa dei risultati.

Almeno questo è quello che la partita di Napoli lascia come ricordo oltre all’amaro in bocca di una sconfitta che ha dato la certezza che per quest’anno almeno proprio non se ne parla.

Redazione

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