Chi è Sartori, il d.s. dei miracoli che fa grande (anche) il Bologna
L’uomo che ha assemblato i pezzi della macchina-Bologna, ha fatto il cambio gomme, controllato le pastiglie dei freni e verificato il fissaggio dello stato meccanico è quello che non vedrete mai in campo per festeggiare una vittoria, non vedrete mai dare il cinque all’allenatore, non vedrete mai sfilare a uso e consumo dei tifosi e non vedrete (quasi) mai nemmeno in posa in tribuna al Dall’Ara. Si chiama Giovanni Sartori e se questo Bologna da Champions League ha un segreto è lui.
La prima esperienza con il Chievio.
Se parli di quel Chievo dei miracoli pensi a Del Neri, l’allenatore, o ai vari Luciano, Pellissier o Amauri. Difficilmente ti viene in mente Sartori. Lui è sempre rimasto dietro, mai in copertina. Architetto che muove le fila senza apparire. Non è a suo agio davanti alle telecamere. Dietro, invece, è attento con i giornalisti. Preferisce tenersi lontano da riflettori e palcoscenici, ma agisce: «Nei ventuno anni da dirigente del Chievo prendevo 10 giocatori in ogni sessione, più o meno avrò comprato 800 calciatori, forse qualcuno in più». Alcuni di questi rimarranno storici, Perrotta, preso per 3 miliardi dal Bari, ma anche Corini, Marazzina, Legrottaglie, Barzagli, Manfredini, Eriberto (poi Luciano), Frey e Pellissier. Alcuni scoperti, altri riscoperti. Al Chievo porta tante novità e idee chiare. Anche dopo l’arrivo in Serie A si rimane coi piedi per terra, l’idea è salvarsi, poi si sogna. E il Chievo sogna: se il ricordo di tutti è al primo Chievo del 2000, quello tutto 4-4-2 e calciatori sconosciuti, è nel 2005 che arriva la grande occasione con i preliminari di Champions League contro i bulgari del Levski Sofia. Il Chievo perde ma la squadra esce tra gli applausi del Bentegodi. Sugli spalti c’era gente che vent’anni prima soffriva in interregionale e in Serie C e che ora si commuoveva nel sentire la musichetta della Champions. Sartori era lì in entrambi gli scenari.
L’Atalanta da questo punto di vista è la sua Gioconda: sue le intuizioni su Bastoni, Kessie, Cristante e Conti, solo per citarne alcuni. Più di 300 milioni di utili. A Bergamo affina la sua rete, allarga l’orizzonte, capisce che ci sono delle zone precise da cui estrarre l’oro. Campionati minori, ma estremamente funzionali. Come al solito gli hanno dato ragione i risultati negli anni. L’Eredivisie, la Pro League Belga, il campionato ucraino o quello russo. Terreni fertili in cui scovare pepite. Gli ultimi? Beukema, Karlsson e Zirzkee, i primi due dall’AZ, la punta invece dall’Anderlecht, dove era finito in prestito dal Bayern, con in mezzo un passaggio sfortunato al Parma. Sartori l’ha strappato ai tedeschi per 8 milioni e mezzo, oggi ne vale almeno dieci – se non quindici – in più. Ma d’altronde generare talento e plusvalenze è quello che gli riesce meglio da sempre.
Quando era a Bergamo e collezionava qualificazioni in Europa e finali con un utile complessivo di 164,2 milioni di euro, il Bologna registrava un rosso da 112,9 milioni. Naturale che quando ha scelto di lasciare l’Atalanta in tanti abbiano messo gli occhi su di lui. Ha scelto il Bologna. Per continuare a operare alla sua maniera. Aziendalista che vuole carta bianca e pieni poteri.
Negli anni Sartori si è evoluto, ha continuato a studiare, guardare partite a ciclo continuo e ha imparato a usare Wyscout. Grazie all’aiuto di Di Vaio e di tutto lo staff anche a Bologna ci ha messo poco a far sentire la sua mano. Ha analisti di cui si fida, cura il dettaglio e ci tiene a non sbagliare. Ndoye, quest’estate, ha ricevuto più di 50 telefonate, finché non ha scelto di accettare. Sartori lo chiamava ogni giorno e ogni giorno toccava un argomento diverso. L’Italia, il gioco di Thiago Motta, Bologna e via discorrendo. Arte della retorica, oltre che intuito e tigna. Oggi il giocatore è felice così come Sartori, per il colpo messo a segno. Ovviamente sempre senza scomporsi, sia mai.